30-06-2017 Mario Dino

Riceviamo pubblichiamo con piacere le impressioni di Anna Cavallo:

Con piacere ho letto e, debbo confessare, riletto più volte le poesie della silloge “Una poesia dal cassetto 2”.

Sono rimasta particolarmente colpita dallo spirito sognatore e fantasioso di questi giovani che riescono ad evadere, creando nuove suggestioni al lettore, dalla cruda e lineare realtà tecnologica di cui sono pervasi.

C’è grande equilibrio tra l’incanto della loro poesia e il disincanto di quanto li circonda, e i temi che trattano sono attuali, vivi e viscerali, mai sdolcinati e patetici.

Questi giovani poeti padroneggiano con perizia le nuove tecniche linguistiche della poetica odierna e le loro composizioni disegnano i colori dell’anima e le sfumature dell’esistenza dando forma ad un insieme cromatico che talvolta li avvicina ai grandi del passato.

Senza voler far torto ad alcuno degli scrittori, mi soffermerò brevemente su alcuni testi.

“Generosa come una quercia” e “All’ombra di un  carrubo” mi hanno particolarmente e favorevolmente colpita in quanto gli autori hanno saputo ben coniugare e amalgamare, con riflessioni filosofiche e antropiche,  le caratteristiche dei due generi con la risolutezza e la temperanza del genere umano nell’affrontare la vita.

Questa capacità di dar voce alle cose inanimate, di dare un volto a un particolare stato d’animo l’ho poi toccato con  mano nel testo “Cos’è un poeta?”, che esalta il concetto di creatività: la sensibilità e la fantasia danno le ali alla vita, rendendola piacevole, colorata e armonicamente musicale.

Su questo crine di un immaginifico a tutto tondo, sincero e pieno di pathos, è da collocare ancora l’originalità contenuta nella lettera “Dolce e premurosa amata”, di una studentessa di Odenzo. L’autrice scrive una lettera calandosi in un’epoca non sua, assumendo un ruolo non proprio, quello del nonno che dal fronte della Grande Guerra scrive alla sua amata, la nonna. L’autrice riesce con bravura e intelligenza a farci rivivere tempi passati, luoghi lontani dalla nostra esperienza, eterni e sinceri amori senza età.

Complimenti a questi giovani poeti.

26-06-2017 Mario Dino

 

Serena Bruzzesi, poetessa in erba premiata a Torino – su Cronache maceratesi  – 

 

A Serena Bruzzesi, studentessa del liceo scientifico “G. Galilei” di Macerata, è stata assegnata una delle undici menzioni speciali del concorso nazionale “Una poesia dal cassetto 2”, la cui cerimonia di premiazione si è tenuta nelle scorse settimane nel “Salone dell’Accademia Albertina” di Torino.

La realizzazione del progetto è stata curata dal professor Mario Dino, che ha dichiarato di essere sorpreso e felice del fatto che “questi ragazzi, pur immersi in una realtà estremamente tecnologica, abbiano affidato i propri sentimenti ed emozioni alla parola evocativa del linguaggio poetico il cui tratto dominante sia il canto dell’amore, di un amore da amare e che diventi, di questi tempi globalizzati e frastornanti, l’unica e ultima speranza di vita”. Tra gli oltre 160 partecipanti sono stati 24 i componimenti scelti per la creazione del libro “Una poesia dal cassetto 2”, pubblicato da Impremix Editore, tra cui “Il vuoto”, poesia della giovane studentessa maceratese.

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22-06-2017 Giuseppe Giordano

riceviamo e pubblichiamo volentieri:

Impressioni sul romanzo Santa Ilde di Porta Palazzo

Ilde è un personaggio ai margini: dell’identità sessuale, della società, della città in cui vive; popola e rappresenta con la sua particolarità (sfregio o segno di elezione naturale?) la periferia dell’anima e dei sensi dividendo con altri soggetti ibridi e canaglieschi una vita marginale e risicata, fatta di avanzi. Teppisti, zingari, sfruttatori, prostitute, poveri diavoli si accompagnano, si combattono, si prendono e si lasciano nella dura guerra dei giorni per sopravvivere e sopraffarsi. L’autore si addentra a conoscere un mondo che, appena ci sfiora, ci fa rinserrare nel cappotto delle nostre buone abitudini, frequentazioni e discendenze. Ma mentre noi ci rassicuriamo di non farne parte, troviamo una valida ragione per incuriosirci e continuare a leggere. La scrittura è realistica, le morbosità descritte mettono a nudo la nostra morbosità di spiarle. Le esplorazioni del sottobosco sociale nelle sue superstizioni, credenze ed espedienti sono interessanti anche dal punto di vista linguistico. Il romanzo è attuale e attesta un’osservazione tutt’altro che superficiale  della suburra torinese. La protagonista è tremula, esposta, incline a compiacere i persecutori e ad innamorarsi; dai suoi tarocchi si affaccia nella vita di altri disperati o presagisce e interpreta maldestramente eventi per sé. La sua calda umanità e la sua umiltà la rendono capace di sperare e di dare, salvandola ai nostri occhi; ci affezioniamo a Ilde perché la sua natura la fa appartenere alle creature sognanti e generose che dagli errori non imparano molto.

Valeria Amerano

27-06-2017 Giuseppe Giordano

riceviamo da un nostro affezionato lettore e volentieri pubblichiamo:

Questo libro è un romanzo, un romanzo dedicato a Luciano Domenico (nome di battaglia Undici, come i suoi anni), staffetta partigiana, ucciso dai repubblichini a undici anni. Presentato in questo modo potrebbe apparire che Giuseppe Giordano abbia scritto un memoriale di guerra, arricchendo una già ricca bibliografia sull’argomento eppure non è così, perché questo romanzo ha un pregio in più rispetto a tanti libri analoghi; è una grande opera di narrativa, che prende spunto dal fatto reale della guerra – vissuta a Torino nel 1944 fino ad arrivare al 1945 – ma la rivisita e la trasforma in un succedersi di avventure dove la realtà e la fantasia si uniscono portando il lettore fisicamente nei luoghi degli eventi narrati.

Giordano non esita ad usare un linguaggio diretto, ricco di suoni, di onomatopee, di parole gergali e dialettali e di parole nuove (inventate o adattate dall’io narrante), una tecnica innovativa che si palesa già nel primo capitolo e che si rinnova di capitolo in capitolo, man mano che la vicenda si svolge.

Il protagonista è un ragazzo, che non ha nome (mai viene chiamato da qualcuno con un qualsiasi nome che lo identifichi o lo fissi in un soggetto preciso), così come non ha nome la madre del ragazzo (la seconda protagonista della vicenda).

I due protagonisti restano anonimi per meglio evidenziare quella che è la loro caratteristica principale, sono due sognatori, lui giovane sbandato tra bombardamenti e rastrellamenti, capace di inventarsi un universo parallelo tratto dai libri letti (libri che la madre gli ha regalato apposta), di vivere pienamente le sue giornate lontano dalla scuola bombardata e che per tale motivo non frequenta più.

Lei è un’attrice, più propriamente una comparsa, impegnata ad inseguire i suoi grandi sogni, ma sempre presente a suo modo nella vita del figlio che condivide, lasciandolo libero e contemporaneamente seguendolo come solo una madre che ama il proprio figlio sa fare. Si tratta di una donna forte che vive libera, senza legami, non c’è sin dall’inizio nessuna figura paterna, una donna apparentemente superficiale, eppure capace di decisioni coraggiose.

A tenere compagnia al giovane ragazzo, c’è la sua scorta fantastica che lo protegge nelle sue scorribande per i luoghi più selvaggi di una Torino bombardata, dove si combatte anche nelle vie, dove la milizia fascista e le truppe tedesche esercitano un controllo ossessivo, usando violenza e brutalità.

Il ragazzo, come già detto, sa sognare e si proietta in luoghi esotici, in questo aiutato dal lavoro della madre che frequenta gli studi cinematografici di Torino per partecipare come comparsa a molti film che, nonostante il conflitto vengono girati. Lo stesso ragazzo partecipa ad un film storico e vede, conosce, frequenta personaggi importanti di quel periodo e del successivo dopoguerra (ma i nomi è bene che li scopriate da soli, perché la vicenda è fortemente inserita nella realtà storica di quegli anni e perché il romanzo li sa citare e collocare nell’esatto ruolo che quei personaggi storici stavano svolgendo in quel periodo).

Nel condominio dove la madre e il ragazzo vivono, abita la famiglia di Meco (Domenico), un bambino più giovane di un paio d’anni del protagonista. Meco è il terzo protagonista di questo romanzo, personaggio e bambino vero, che ha vissuto in quella Torino luogo di scontri e scioperi. Il ragazzo in qualche modo ne diventa il tutore, il maestro, il compagno di scorribande. Diventati amici i due iniziano a progettare grandi avventure, dal sogno di costruire una zattera con cui fuggire fino al mare e oltre, al perdersi nei grandi parchi torinesi, vere jungle in quel periodo. Il ragazzo che è chiamato capitano dalla sua scorta immaginaria (ma molto reale nella sua vita) decide di nominare Meco tenente e lo coinvolge nelle sue vicende.

Ma Meco ha un fratello partigiano e i fascisti tengono sotto controllo la famiglia, tutta la storia resta in equilibrio tra la realtà storica e la fantasia più sfrenata, tra Torino e Maracaybo e altri luoghi esotici. A far da cornice, o meglio a sottolineare questa convivenza tra realtà e fantasia, sono gli inserti di alcuni brani tratti dai libri di Salgari e i racconti che la fantasia del ragazzo crea dal nulla, sentendosi costantemente a capo del suo gruppo di combattenti invitti e invincibili. Magico talismano sembra essere una Fenice, o meglio il disegno che rappresenta un’Araba Fenice in volo che la madre del ragazzo si era fatta tatuare nel corso di una sua avventura (così lei racconta), un tatuaggio che è un amuleto, un portafortuna, un talismano.

Ma è bene non raccontare nient’altro di questo libro che merita di essere letto, per la sua capacità di evocare emozioni; per la capacità di saper raccontare in modo diverso e originale la triste vicenda della guerra civile che coinvolse l’Italia per due lunghi e terribili anni; per il mistero dell’attesa con cui riesce a coinvolgere il lettore nelle avventure del ragazzo e degli altri personaggi; per l’uso di un linguaggio (e uno stile di scrittura) che sa essere convincente, fortemente evocativo e originale.

Edgardo Rossi

 

08-05-2017 Anna Roberti

Articolo di Moreno D’Angelo su Nuova Società…

http://www.nuovasocieta.it/cronaca/nove-maggio-commemorazione-dei-partigiani-sovietici-al-sacrario-della-resistenza/

04-05-2017 Vilma Gabri – Paola Parodi

riceviamo dalla prof.ssa Lucia Chiara Piovano:

La scrittura di Vilma Gabri è quella della lettrice esperta che esercita il labor limae attraverso l’aggettivazione puntuale, l’apparente trascuratezza negli asindeti, il ritmo fonico del tessuto lessicale, così da costruire con ricercatezza il susseguirsi delle immagini, siano esse quelle marine di pesci e gamberetti nel primo testo, o quella del bue al lavoro che ritorna in racconti lontani a identificare lo stesso personaggio/persona.  Mare e terra: il mare è pensato e vagheggiato, poco al di là delle colline, così come già in Pavese, ma ancora oggi in Paolo Conte o Gianni Farinetti. Ancora a Pavese, ma anche a Fenoglio, a Nuto Revelli, sembra portare una terra fatta solo di polvere e sudore, sangue e scorza dura, carne e sputi, mai consolatoria, mai promessa primaverile della vegetazione che nasce, ma solo ossessione dell’estate che affatica, operosità dell’autunno che avanza, dura madre che chiede dedizione e non dà risposte. Un barlume di salvezza sta nel rito, suggellato dal canto che sgorga acuto dalle gole delle donne a compensare il grido strozzato durante gli amplessi subiti. Rito, mito, archetipo: quelle stesse immagini nate a qualche decina di chilometri da qui, pochi anni fa, potrebbero venire dalla Sicilia di Verga o da un film neorealista, immagini di una natura umana quasi immutabile nel tempo e nello spazio cui la scrittura trova, alla fine, un compimento e un senso oltre la sofferenza.

A un sud più lontano ancora di quello di Pessoa, forse alla letteratura dell’altro emisfero, sembra invece rimandare l’atmosfera abbacinata dell’unico racconto di ambientazione cittadina, in cui l’acqua salata non è quella del mare sognato, ma quella delle lacrime desiderate, e proibite, nelle vie immobili come un destino deciso da un’assenza feroce. Se là, tra le colline, la vita poteva alla fine dissolversi leggera come la polvere colorata di un mandala, qui è spossata dal giorno interminabile, si consuma e si inaridisce fino a sbriciolarsi come foglia riarsa. Sembra non esserci mito salvifico nell’oggi che ancora viviamo, qui, abbagliati e sospesi tra gli interrogativi metafisici che si nascondono dietro gli spigoli delle nostre strade, dove ci ostiniamo a cercare una presenza che ci conforti. Anche la scrittura non può che avvolgerci nella desolazione.

Ma, forse, la città estiva è solo una delle tante città invisibili che si nascondono sotto i nostri piedi, come la cabina volante è una qualche ammodernata parente della mongolfiera che si porta via Cosimo Piovasco di Rondò (in fondo anche nel loro autore c’erano Cuba, il mare della Liguria e la città in cui viviamo).

09-04-2017 Paola Parodi – Vilma Gabri

Riceviamo e volentieri pubblichiamo la recensione del prof. Gianfrancesco Borioni:

 

In un tempo in cui tutto è virtuale (gli amori, le amicizie, le letture) avere in mano il bel libro La curva della strada è un piacere.

Piacere della vista (le foto), piacere della lettura (i racconti).

Vilma Gabri e Paola Parodi ci offrono un oggetto elegante, puro nella sua essenzialità e profondamente umano.

Tocchi poetici allusivi descrivono questa gente di Piemonte, di ieri e di oggi, bambine, giovani e vecchi. È l’umanità che ci sfila davanti nei testi della Gabri. Quella fantastica dell’infanzia che trasforma la realtà in gioco, quella di destini spezzati e infine quella giunta all’estremo limite della vita.

Su tutto, uno sguardo di misurata compassione che non è distacco dalle umane vicende, ma meditazione sul loro intrigarsi e sciogliersi in un flusso incessante.

È la scrittura che permette questo distanziamento e nello stesso tempo questa immersione nel profondo di ogni destino senza spiegarne il perché:  è impossibile penetrare Il mistero di una vita.

Le foto di Paola Parodi non illustrano i testi, ne formano il contrappunto. Sono foto in bianco e nero quasi tutte prive di presenza umana: oggetti, luoghi, forme geometriche, alcune astratte, che isolano istantanee di silenzio.

La concretata operosità degli uomini è diventata cosa, spazio vuoto, filare nella nebbia, volto di pietra.

Questo libro è molto piemontese: senza strepiti, discreto, trattenuto e garbato.

Il meglio del Piemonte.

 

Gianfrancesco Borioni (professore all ‘Università Paris 8 Saint Denis)

21-03-2017 Paola Parodi-Vilma Gabri

I racconti hanno un sapore antico. Una scrittura che sembra incunearsi nelle pieghe di vite e ambienti vissuti dentro e raccontati dal di dentro. “De adentro”. “Inside”. Non so come dire, come spiegare quella sensazione che ti cresce dentro mentre leggi e invece che uscirne fuori ti risucchia dentro, appunto, al punto che quei mondi poi li riconosci. Perché tu li conosci, ma con i testi di Vilma li conosci di nuovo. Le foto aiutano moltissimo. Alcune sono commoventi. Fanno esplodere tutte quelle emozioni che il racconto ha concentrato in te, la lontananza, la tenerezza, che so… la simpatia, la curiosità, le domande. Le foto di Paola magari ti fanno capire di più, cogliere un dettaglio nascosto, ma soprattutto mettono il sorriso sulle labbra, intrigano, sorprendono, e ti fanno scoprire uno sguardo sulla bellezza come non l’avevi mai visto.

Liliana Carrillo.

22-03-2017 Paola Parodi – Vilma Gabri

«La nostalgia domina questo delizioso libro di fiabe che ci invita a cercare dentro di noi per capire il passato e scoprire “l’eterna allegrezza”.  L’intreccio foto e racconti rivela la forza del dialogo, l’arricchimento che nasce da più fonti creative »
Annick Charton

09-03-2016 Paola Parodi-Vilma Gabri

Libro bello, dolcemente malinconico, struggente.
I personaggi sembrano emergere, attraverso la pagina, dalla nebbia del tempo, stanno un poco insieme a te e ritornano nel loro dolce oblio.
Testimoni di queste visite le fotografie che fanno insieme da quinta e da coro a quegli incontri…

Ernesto Gallarato