riceviamo da un nostro affezionato lettore e volentieri pubblichiamo:
Questo libro è un romanzo, un romanzo dedicato a Luciano Domenico (nome di battaglia Undici, come i suoi anni), staffetta partigiana, ucciso dai repubblichini a undici anni. Presentato in questo modo potrebbe apparire che Giuseppe Giordano abbia scritto un memoriale di guerra, arricchendo una già ricca bibliografia sull’argomento eppure non è così, perché questo romanzo ha un pregio in più rispetto a tanti libri analoghi; è una grande opera di narrativa, che prende spunto dal fatto reale della guerra – vissuta a Torino nel 1944 fino ad arrivare al 1945 – ma la rivisita e la trasforma in un succedersi di avventure dove la realtà e la fantasia si uniscono portando il lettore fisicamente nei luoghi degli eventi narrati.
Giordano non esita ad usare un linguaggio diretto, ricco di suoni, di onomatopee, di parole gergali e dialettali e di parole nuove (inventate o adattate dall’io narrante), una tecnica innovativa che si palesa già nel primo capitolo e che si rinnova di capitolo in capitolo, man mano che la vicenda si svolge.
Il protagonista è un ragazzo, che non ha nome (mai viene chiamato da qualcuno con un qualsiasi nome che lo identifichi o lo fissi in un soggetto preciso), così come non ha nome la madre del ragazzo (la seconda protagonista della vicenda).
I due protagonisti restano anonimi per meglio evidenziare quella che è la loro caratteristica principale, sono due sognatori, lui giovane sbandato tra bombardamenti e rastrellamenti, capace di inventarsi un universo parallelo tratto dai libri letti (libri che la madre gli ha regalato apposta), di vivere pienamente le sue giornate lontano dalla scuola bombardata e che per tale motivo non frequenta più.
Lei è un’attrice, più propriamente una comparsa, impegnata ad inseguire i suoi grandi sogni, ma sempre presente a suo modo nella vita del figlio che condivide, lasciandolo libero e contemporaneamente seguendolo come solo una madre che ama il proprio figlio sa fare. Si tratta di una donna forte che vive libera, senza legami, non c’è sin dall’inizio nessuna figura paterna, una donna apparentemente superficiale, eppure capace di decisioni coraggiose.
A tenere compagnia al giovane ragazzo, c’è la sua scorta fantastica che lo protegge nelle sue scorribande per i luoghi più selvaggi di una Torino bombardata, dove si combatte anche nelle vie, dove la milizia fascista e le truppe tedesche esercitano un controllo ossessivo, usando violenza e brutalità.
Il ragazzo, come già detto, sa sognare e si proietta in luoghi esotici, in questo aiutato dal lavoro della madre che frequenta gli studi cinematografici di Torino per partecipare come comparsa a molti film che, nonostante il conflitto vengono girati. Lo stesso ragazzo partecipa ad un film storico e vede, conosce, frequenta personaggi importanti di quel periodo e del successivo dopoguerra (ma i nomi è bene che li scopriate da soli, perché la vicenda è fortemente inserita nella realtà storica di quegli anni e perché il romanzo li sa citare e collocare nell’esatto ruolo che quei personaggi storici stavano svolgendo in quel periodo).
Nel condominio dove la madre e il ragazzo vivono, abita la famiglia di Meco (Domenico), un bambino più giovane di un paio d’anni del protagonista. Meco è il terzo protagonista di questo romanzo, personaggio e bambino vero, che ha vissuto in quella Torino luogo di scontri e scioperi. Il ragazzo in qualche modo ne diventa il tutore, il maestro, il compagno di scorribande. Diventati amici i due iniziano a progettare grandi avventure, dal sogno di costruire una zattera con cui fuggire fino al mare e oltre, al perdersi nei grandi parchi torinesi, vere jungle in quel periodo. Il ragazzo che è chiamato capitano dalla sua scorta immaginaria (ma molto reale nella sua vita) decide di nominare Meco tenente e lo coinvolge nelle sue vicende.
Ma Meco ha un fratello partigiano e i fascisti tengono sotto controllo la famiglia, tutta la storia resta in equilibrio tra la realtà storica e la fantasia più sfrenata, tra Torino e Maracaybo e altri luoghi esotici. A far da cornice, o meglio a sottolineare questa convivenza tra realtà e fantasia, sono gli inserti di alcuni brani tratti dai libri di Salgari e i racconti che la fantasia del ragazzo crea dal nulla, sentendosi costantemente a capo del suo gruppo di combattenti invitti e invincibili. Magico talismano sembra essere una Fenice, o meglio il disegno che rappresenta un’Araba Fenice in volo che la madre del ragazzo si era fatta tatuare nel corso di una sua avventura (così lei racconta), un tatuaggio che è un amuleto, un portafortuna, un talismano.
Ma è bene non raccontare nient’altro di questo libro che merita di essere letto, per la sua capacità di evocare emozioni; per la capacità di saper raccontare in modo diverso e originale la triste vicenda della guerra civile che coinvolse l’Italia per due lunghi e terribili anni; per il mistero dell’attesa con cui riesce a coinvolgere il lettore nelle avventure del ragazzo e degli altri personaggi; per l’uso di un linguaggio (e uno stile di scrittura) che sa essere convincente, fortemente evocativo e originale.
Edgardo Rossi