18 gennaio 2021 – Sante Bajardi

Su “La porta di vetro” intervento a cura di Marco Travaglini.

SANTE BAJARDI: L’UOMO DEL “CREMLINO” TORINESE

di Marco Travaglini

Nell’archeologia della politica torinese, Sante Bajardi, prossimo ai novantacinque anni, è sinonimo di “Cremlino”. Sia chiaro, il riferimento non è allo storico e monumentale edificio di Mosca, ma più modestamente alle case costruite in cooperativa in Lungo Po Antonelli attorno agli anni Sessanta, dove Bajardi andò ad abitare con la sua famiglia. Lì, in quel complesso edilizio, si davano indicazioni quartiere per quartiere, sezione per sezione, sulle liste elettorali della Falce e martello di Torino e provincia. In quelle circostanze, il “Cremlino”, infatti, si trasformava in una sorta di “centro di potere” extraterritoriale del Pci, lontano da orecchie indiscrete della sede di partito situata fino agli anni Novanta in via Chiesa della Salute 47, in Borgo Vittoria. Insomma, al “Cremlino” si decidevano “le cinquine” dei nomi, le preferenze da segnare sulle schede elettorali, ossia si pianificava il destino dei candidati “rossi” e, di riflesso, anche le composizioni delle segreterie politiche locali. Un lavoro certosino e raffinato di prospettiva politica e amministrativa. Certo, come ad ogni elezione, le sorprese non mancavano. Ma in linea generale, l’incertezza che pende anche sulla testa della migliore delle macchine organizzative di partito, e il partito comunista di Torino senza dubbio lo era, fu sempre contenuta ai minimi termini. E di quell’organizzazione, Sante Bajardi era indiscutibilmente l’uomo forte, politico di apparato, ascoltato e, per alcuni versi, temuto.

L’itinerario di questa passione politica e impegno civile cominciato agli inizi degli Anni Quaranta del Novecento, è riassunto nell’autobiografia “Dal dire al fare. Ricordi di un uomo impegnato”: 180 pagine ricche di riflessioni, aneddoti e ricordi. Edito da Impremix, il libro è basato su una lunga intervista curata da Mirella Calvano e Giovanni Romano; pagine che ripercorrono appunto la vicenda umana, politica e istituzionale di Bajardi, uno dei protagonisti più rilevanti della vita politica e amministrativa del Piemonte nel secondo dopoguerra. Una storia appassionante dall’antifascismo alla guerra partigiana, dalle grandi sfide di solidarietà e uguaglianza del dopoguerra agli anni dell’impegno in Regione su temi cruciali come la riorganizzazione del servizio sanitario. “Prima imparare poi mettere in pratica quello che si è capito”: in questa frase si riassume il principio che ha sempre ispiratore l’impegno di Bajardi.

Nato a Torino il 1° maggio 1926 in Barriera di Nizza, la parte sud-est della città da padre siciliano e madre trentina, dopo l’infanzia passata tra i giochi in riva al Po e nei prati del Valentino, la frequentazione della scuola elementare “Silvio Pellico” di via Madama Cristina e quella di avviamento professionale di via Finalmarina al Lingotto (“da ragazzino mi piaceva costruire con i compagni gli strumenti dei nostri giochi e nella scuola conobbi l’importanza di imparare a maneggiare correttamente il legno e il ferro”) conobbe a 14 anni la fabbrica. Giovane operaio metalmeccanico alla OPEM, azienda elettromeccanica che lavorava essenzialmente per le ferrovie e la società telefonica Stipel, studiava di sera e si diplomò all’Istituto Amedeo Avogadro. Durante la seconda Guerra mondiale partecipò alla Resistenza nelle file della 10° Brigata SAP Garibaldi “Antonio Gramsci” della Barriera di Nizza e, terminato il conflitto, collaborò nel dopoguerra con l’amministrazione cittadina, attraverso le organizzazioni giovanili unitarie.

Dal 1950 dirigente del PCI a Torino, a Ivrea, nel Canavese e nel Pinerolese, tra i lavoratori dell’Olivetti, della Chatillon e della Riv di Villar Perosa, i minatori della Talco Grafite in Val Germanasca. Dalla sua esperienza con i lavoratori della tristemente nota IPCA di Cirié (Industria Piemontese dei Colori di Anilina) nacque il mai interrotto impegno sulle politiche per la salute. Nel 1964 iniziò a Grugliasco, come capogruppo del PCI, la sua importante esperienza amministrativa. Nel 1970 venne eletto consigliere provinciale a Torino e nominato capogruppo del suo partito. Dal 1975 al 1980 ricopre gli incarichi di vicepresidente della Giunta regionale del Piemonte e di assessore regionale ai Trasporti e alle opere pubbliche. Nel 1980 è nominato assessore alla Sanità, incarico che ricoprirà per l’intera legislatura nelle giunte presiedute da Ezio Enrietti e Aldo Viglione. Terminato l’impegno regionale, durato un intero decennio, dal 1985 al 1992 venne eletto in Consiglio comunale a Torino dove collaborò strettamente con Domenico Carpanini.

Nel 1990 contribuì alla fondazione del CIPES Piemonte, il Centro d’Iniziativa per la Promozione della Salute e l’Educazione Sanitaria, del quale è presidente onorario e si occupò dell’associazione degli ex-consiglieri regionali. In questo ritratto autobiografico diverse pagine sono dedicate a all’esperienza che colloca Bajardi, a buon titolo, tra i “padri fondatori” dell’istituzione regionale: un’esperienza qualitativamente importante che ha lasciato un segno nelle politiche del Piemonte. Personalmente, giovanissimo cronista del quotidiano l’Unità ebbi modo di apprezzarne lo spirito d’iniziativa e la competenza con la quale gestì la drammatica situazione venutasi a creare nell’estremo nord del Piemonte, in Valle Vigezzo, durante la terribile alluvione dell’agosto del 1978. È difficile riassumere la storia di quest’uomo che ha attraversato da protagonista le vicende piemontesi di oltre mezzo secolo e l’unico modo per averne la piena consapevolezza è leggere quest’intervista-racconto che si presenta come una delle più belle e intense testimonianze di chi ha fatto della passione civile la bussola della sua vita e del suo impegno.